La nostra storia

l'alba dell'avventura

Siamo ai primi del ‘900 undici fratelli, un paese in bassa val di Susa, Sant’ Ambrogio, poco lavoro e la necessità di emigrare per sperare in un futuro migliore.
Alberto aveva tre possibilità:
rimanere al paese lavorando nei campi, alla dinamite NOBEL dove le condizioni di lavoro erano assai rischiose.
Emigrare in Francia (come molti facevano) oppure andare a in città in certa di fortuna: Torino.
Alberto scelse l’ultima opzione, partendo a undici anni, da solo. Trovò lavoro come garzone in un negozio di salumeria. Vista la tenera età e la voglia di emergere, Alberto impara in fretta e risparmia anche i centesimi.
Quando il suo padrone (allora non si parlava ancora di datore di lavoro) lo mandava a comprare la birra oltre dazio, per non pagare la tassa, gli dava un soldo per il tram. Alberto faceva tutta la strada a piedi, carico come un mulo al ritorno, per risparmiare anche su quel soldo.
Alberto cresce e siamo in una Torino  vivacissima e spumeggiante, e questo ambiente permette la nascita di molte innovazioni.
Ovviamente il commercio non poteva che godere di questa situazione.
 
La vita era durissima si, lavorava 13 ore al giorno domenica compresa, e le persone volenterose e determinate avevano molte occasioni di crescita.
Alberto lavora nelle migliori salumiere e continua a crescere. Diventa primo garzone (quello che oggi chiamiamo store manager).
Purtroppo muore suo padre a Sant’Ambrogio. Chiede un permesso per il funerale. All’epoca, però, non esistevano i permessi e per andare al funerale il suo Padrone lo costrinse a licenziarsi. Disse “vedi Alberto, se io do un permesso per andare a salutare per l’ultima volta tuo padre, devo darlo anche a tutti gli altri“.
Alberto si licenziò e andò da suo padre.
Poi scoppiò la prima guerra mondiale.
Alberto vide la morte in faccia mille volte.
Non ne parlò mai con nessuno.
Disprezzava quelle medaglie sporche di sangue che il re gli riconobbe come a tanti altri.
Fece un fioretto.
Non sarebbe mai più andato in montagna con la neve se avesse portato a casa la pelle.
Non venne neanche a trovare il suo adorato nipote, che affetto da un problema ai polmoni, stette parecchio tempo in alta montagna.

ALBERTO ROSADA E TOMMASINA ROVALETTI

Tre generazioni che hanno deliziato i palati torinesi

ALBERTO ROSADA e tommasina rovaletti

Ma in questa storia ci sono altri protagonisti.
Una sicuramente molto importante è Tommasina la moglie di Alberto. Arriva anche lei giovanissima da Pieve Vergonte un piccolo paesino in val d’Ossola.
Anche in questa realtà c’era molta povertà.
Gli unici mestieri possibili erano o lo spazzacamino, dove esisteva una radicata tradizione di persone che si dedicavano a questo sporco (nel senso letterale della parola) mestiere.
Un’altra alternativa ma molto meno legale era fare il “gibb one” ossia il contrabbandiere.
Certo il contrabbandiere di sigarette.
La Svizzera era poco lontana.
I sentieri su per le montagne ripidi e impervi ma gli Ossolani erano bravissimi a  camminare ore carichi di peso e conoscevano quelle montagne a menadito.
Ovviamente Tommasina poco più di un metro e cinquanta,magrissima con due occhi lampeggianti e i capelli  ondulati,biondi,quasi rossi non era adatta.
Così anche lei partì per costruirsi un futuro.
Scelse Torino, forse li c’era già qualche parente (era pur sempre un signorina e andava protetta in qualche modo).
A Torino trovò lavoro in un pastificio.
Era una fidlera ossia preparava le tagliatelle, i fidlin in tutte le loro misure, rigorosamente fatto a mano.
Non sappiamo come abbia conosciuto Alberto, forse per motivi di lavoro, forse al parco del Valentino dove d’inverno con temperature veramente polari andavano la domenica pomeriggio (al mattino si lavorava) a vedere gli sgniur e le sgniure (i Signori e le signore nobili, comunque benestanti) che loro servivano durante la settimana,a pattinare sul ghiaccio.
L’unica certezza è che si conoscono e si innamorano. Siamo nel 1926 Alberto ha 31 anni Tommasina 29.
Alberto scopre un piccolo negozietto in via Magenta 10 c’era già un alimentari ma ha chiuso.
La location come si dice adesso, non è ottimale.
Intorno non c’è altro che magazzini di corrieri e cavalli per il traino dei carri, ma poco lontano ci sono le ville degli sgniur e il centro città è poco lontano.
Porta nuova è letteralmente nuova.
Via Sacchi la stanno costruendo.
Alberto decide: si mette in proprio.
Il Suo padrone (datore di lavoro) fa di tutto per trattenerlo.
Sta lavorando come capo commesso all’Emporio gastronomico in Corso Vittorio Emanuele ll.
L’attività esiste ancora oggi ma come ristorante.
Il suo padrone si rassegnò e volle regalare ad Alberto un portafortuna per la sua nuova avventura.
Esiste ancora.
È un bellissimo cuoco in terracotta che sorride,con tanto di pancia,alto circa 50 centimetri dai colori tenui gemello di un altro che aveva in negozio.
Era un un oggetto pubblicitario della Liebig.
Ma suo valore sentimentale e augurale era ben diverso.
Ma il sogno di Alberto non si ferma qui.
Chiede a Tommasina di sposarlo.
Il 26 ottobre 1926, vanno in comune in tram e si sposano.
Tornano e vanno in negozio.

Così semplicemente.
Vivono in una piccola soffitta all’ultimo piano sopra il negozio.
Li nascerà nel 1932 il loro unico figlio Renato.
Qui inizia la storia della salumeria gastronomia Rosada.

Alberto e Tommasina devono farsi conoscere
La loro è un un’azienda appena nata (oggi verrebbe chiamata start up) i primissimi anni sono durissimi.
Il consumatore di allora era composto per lo più da tre categorie:
Le madame e madamine
i cuochi di famiglia 
I tutun e le sgniure
Le prime erano donne sposate che si curavano della casa e della famiglia.
Erano chiamate madame se la suocera e la madre erano passate a miglior vita.
Madamine se invece (purtroppo per loro) madre e suocera troneggiavano ancora.
Erano comunque buone massaie, attente al prodotto e parsimoniose.
A differenza di adesso la competenza sul prodotto era patrimonio di tutte.
La qualità era pretesa a priori e ad un buon prezzo.
Facevano quadrare il bilancio familiare sia che fosse di poche possibilità,sia che fosse più cospicuo (ma senza mai sperperare).
I cuochi di famiglia erano patrimonio delle famiglie più abbienti (per lo più nobili o professionisti).
Il cuoco era un professionista spesso non pagato adeguatamente.
Un metodo per arrotondare lo stipendio era cercare di non spendere tutto il budget.
Così che vi erano alcuni negozi che diciamo alteravano i costi dei prodotti per lasciare un po’ di margine ai cuochi. Ovviamente il cuoco, in cambio, si sarebbe sempre fornito solo in quel punto vendita per la sua spesa.
 

Ricordo che Nonno Alberto biasimava aspramente questo “sistema” orgoglioso di non essersi mai piegato a questo compromesso e a vendolo conosciuto bene mi sarei  stupito del contrario.

 

 

RENATO ROSADA e francesca rotondo

Ormai siamo alla vigilia degli anni 50.
Renato nel frattempo è cresciuto ormai a poco meno di 18 anni. Si sa che allora si inizia a lavorare presto.Renato ha studiato è arrivato sino alla quinta ginnasio. Suo papà Alberto avrebbe voluto che continuasse a studiare gli sarebbe piaciuto che suo figlio diventasse un farmacista. Ma Renato sentiva troppo forte il richiamo del negozio. Inoltre era un piccolo campione sia nel motociclismo che sul Hockey a rotelle. In particolar modo sulle moto andava forte. Possedeva un isomoto con la quale vinceva. Tanto c’è un giorno la Gilera le propose una sua moto ufficiale. A quel punto Alberto ma soprattutto Tommasina Da brava mamma ebbe paura che suo figlio si facesse male. Quindi convinse Alberto a proporre a suo figlio una automobile cioè una Topolino della Fiat in cambio della rinuncia a correre in moto. L’occasione per Renato era ghiotta e ovviamente accettò. L’automobile negli anni 50 era un privilegio di pochi. Questo però segnò Una svolta definitiva nella vita di Renato. Sotto gli occhi attenti esigenti di suo padre imparò un mestiere in apparenza semplice mai nella verità molto, molto faticoso è impegnativo. Poco tempo dopo Renato conosce Francesca. È una bellissima ragazza. Di umili origini abituata a lavorare duramente. Si innamorano e nel 1957 si sposano. Un’altra donna entra nei Rosada. Non sa far nulla Non è una cuoca ma una volontà di ferro è tanta voglia di imparare. Tomasina sua suocera non è molto tenera. Ma Francesca non molla. Lo sa Tommasina è dura con lei ma lo fa perché impari tutto è così la salumeria gastronomia possa andare avanti. I tempi cambiano come sempre nella storia. Un’altra trasformazione un altro adeguamento una nuova immagine per Rosada. Inizia una nuova epoca. Ma la gastronomia si trasforma non solo più piatti freddi l’insalata russa,il vitello tonnato,il pollo o gli involtini di prosciutto in gelatina. Ma la cucina vera quella fatta di primi, secondi,antipasti,dolci, piatti caldi,lasagne,arrosti selvaggina,pesce, nelle ricette più particolari, una cucina internazionale. Senza trascurare i piatti della tradizione piemontese la finanziera, la bagna cauda, la lingua salmistrata, i tomini al verde le acciughe al verde,il merluzzo al forno, gli agnolotti alla piemontese, I plin. Gli Anni Sessanta corrono via velocemente Siamo in pieno Boom economicoTorino cresce supera Il Milione di abitanti è una città operaia ma non solo, ci sono dirigenti capaci,famiglie che si tramandano tradizioni e creano aziende. Molte fanno parte dell’indotto Fiat ma non solo. Dimenticavo, nel 1960 sono nato io diciamo…
il narratore di questa storia.
Gli anni a venire gli anni 70 in particolare figli di quel “68” che molto cambiò nel mondo furono anni turbolenti.
 

MAURO ROSADA E ALESSANDRA FIORE

Stiamo scrivendo la nostra storia.

All in the family